Grégoire Ahongbonon: lo sguardo che libera dalle catene

«Sono un povero riparatore di pneumatici, non so niente e non conosco niente, tutto quello che so fare è aggiustare le gomme delle automobili. Ho cercato Gesù Cristo nei poveri, negli oppressi e negli abbandonati ed è nata una storia che interessa ai professori, ai medici: mi chiedono sempre di raccontarla».[1]

Una storia straordinaria è quella di Grégoire Ahngbonon, ex meccanico, che dopo la propria e personale miseria, la crisi spirituale, il dolore, è riuscito a resistere, a riaccogliere gli insegnamenti di Cristo e ad accostarsi all’Altro con tutto se stesso. Grégoire Ahongbonon è un uomo semplice, dallo sguardo buono (lo si vede anche nelle foto), eppur pieno di altruismo coraggioso, impegnato; un uomo che ha sconfitto i propri pregiudizi e timori per accogliere il diverso e salvarlo da chi non si ostina a cercare l’umanità nello sguardo altrui. E ci riesce sempre, anche quando la mente del suo prossimo è infestato dagli spettri della malattia mentale, quando le parole sono un codice verbale impossibile da decifrare, quando invece basta anche solo una carezza per ammutolire quei demoni; ed è questo che fa Grégoire, salva i malati mentali: li cura, ridà loro la dignità di essere umani e li libera dalle catene del pregiudizio e della superstizione e da quelle vere.

«Ma per me la cosa più importante non è necessariamente far guarire ogni singola persona, ma dare loro la dignità. Questo è per cui ci struggiamo»[2].

La storia di Grégoire Ahongbonon non è semplice e la sua vita è stata dura, costellata di tragedie, momenti difficili, come racconta intimamente all’antropologo italiano Valerio Petrarca. Grégoire nasce il 12 marzo del 1952 in un piccolo villaggio nei pressi di Koutongbé, nel Benin, dal quale si trasferisce in Costa D’Avorio nel 1971, dove ha lavorato come gommista, ha avuto successo e si è arricchito, tuttavia allontanandosi dalla religione cristiana, alla quale era sempre stato molto legato. In poco tempo, però, perde tutto, si impoverisce e tenta il suicidio, evento che lo spingerà a riavvicinarsi a Dio e alla Chiesa. Riavvicinamento che culmina con un pellegrinaggio a Gerusalemme, la Città Santa. Qui, come il figliol prodigo, torna completamente nelle grazie della fede, fa degli insegnamenti di Cristo il proprio imperativo categorico, superando i limiti del timore scaturito dal non riconoscere l’Altro. Il suo sguardo si fa umano, oltre che uomo, e ora non ha più paura a tendere la mano a chi è vittima delle più estreme indigenze, non teme di immergersi negli abissi e fare da lume a chi in essi si è disperso.

Il viaggio così  lo colpisce nel profondo e tornato in Costa D’Avorio propone alla moglie si fondare un piccolo gruppo di preghiera, poi a fare assistenza agli indigenti e ai carcerati e infine ai malati mentali che in Africa occidentale sono « i dimenticati dei dimenticati»[3]. Quelle terre aspre ma pullula di vita, tra il Benin, la Costa D’Avorio e il Burkina Faso, dove padroneggia la religione vudù che crede che le anomalie del pensiero e le deviazioni del comportamento debbano essere trattate con le catene, letteralmente, e la religione cristiana con le preghiere.

«Cercando Gesù negli abbandonati cominciavo a vedere tutto ciò che prima non vedevo. E così è iniziata la storia dei malati mentali. Eravamo nel 1990, 1991. I malati mentali in Africa sono una vergogna per la famiglia, una vergogna per la società, una vergogna per il potere pubblico. Sono abbandonati da tutti. Li vedete mangiare nella spazzatura, dormire per strada. Tutti hanno paura di loro. Anche io avevo paura di loro. Anch’io avevo paura dei malati mentali. Un giorno mentre ero per strada, vedo un malato [mentale], nudo, come era abitudine, che frugava nella spazzatura in cerca di qualcosa da mangiare. Ma quel giorno io l’ho guardato in un altro modo. Mi fermo e a forza di spiarlo mi sono detto: ma quel Gesù che cerco in chiesa, quel Gesù che cerco nel gruppo di preghiera, quel Gesù che voglio incontrare nei sacramenti, è il Gesù che soffre dentro questo malato? E se è così, come posso avere paura di lui? Se è Gesù, perché avere paura?».[4]

Fonte: google.com

Quello che Grégoire Ahongbonon farà per i malati mentali è qualcosa di straordinario, soprattutto in Africa occidentale. Qui si crede che questi, secondo la credenza voodoo, impossessati dagli spiriti, perciò vengono legati agli alberi con le catene, vessati affinché possano confessare i propri peccati e liberarsi. Lo stesso credono alcuni cristiani. Esistono infatti dei campi di preghiera dove i malati mentali, sempre legati con le catene, vengono lasciati all’aperto a pregare finché non guariscono dalla malattia. Grégoire assiste a un ragazzo ridotto in queste condizioni, inorridisce: seppure malati, non sono pur sempre umani? Non meritano anch’essi una dignità? Grégoire allora decise, con il sostegno della moglie, di aiutarli, prima portando loro da mangiare e aiutarli a lavarsi, poi trasforma la cappella dell’ospedale in un centro di accoglienza, infine fonda la St Camille Association e apre dei centri di cura in Benin, in Costa D’Avorio e in Burkina Faso. Ogni anno diversi medici psichiatrici dall’Europa fanno visita ai centri per curare i malati secondo i dettami della psichiatria moderna, gli infermieri e le infermiere si prendono cura dei pazienti e l’associazione si prodiga a ridare dignità a queste persone, trovando loro un lavoro e una dimora. E sono moltissimi le donne e gli uomini, guariti dai loro disturbi, che possono testimoniare il successo dell’incredibile impresa di Grégoire, un simbolo di umanità, di vera carità, di senso dell’Alterità. E tutto questo è accaduto perché è bastato uno sguardo. Uno sguardo sincero, profondo, umano. «C’era qui un centro di preghiera dove vi erano più di 250 malati. Ma oggi non ce ne sono più perché quando abbiamo cominciato, le famiglie hanno visto i risultati e hanno liberato dalle catene i loro cari malati e li hanno portati da noi»[5].

Le persone e i famigliari dei malati si accorgono che i metodi importati da Grégoire funzionano. Le crisi psicotiche non sono provocate, come affermano i sacerdoti, dagli spiriti, ma dai disturbi del comportamento e del pensiero, cose reali e tangibili. Attraverso la misericordia cristiana, Grégoire Ahongbonon, impone il senso epistemologico del mondo. I risultati sono evidenti, e decine e decine di campi di preghiera vengono chiuse, le famiglie non chiedono consulti ai sacerdoti o a gli esperti di medici a tradizionale, ma a Grégoire e ai volontari della sua associazione. I malati vengono veramente guariti e non solo: trovano un lavoro, viene loro insegnato un mestiere e, se nella loro volontà, reinseriti nel loro villaggio e famiglia di provenienza.

Fra le moltissime storie di guarigioni grazie all’associazione di Grégoire, c’è quella di Jadakael, raccontata anche dalla BBC. Judikael ha sofferto di forti crisi psicotiche che spesso si manifestavano con lui a denudarsi e a correre per strada. La nonna di lui tenta ogni strada, consultando i sacerdoti o dottori esperti di medicina tradizionale (rifiutando però la pratica dell’incatenamento) ma nulla è efficace, finché non viene a conoscenza del lavoro del St Camille Association e di Grégoire. Judikael viene ricoverato in una delle cliniche dell’associazione, dove i medici gli diagnosticano una forma di schizofrenia. «[…] Judiakel dopo il ricovero di quasi un anno al St Camille, ora va alla clinica una volta al mese per l’iniezione e prende i farmaci ogni giorno per mettere a tacere le voci nella sua testa. Ha ancora problemi con gli effetti collaterali degli psicofarmaci, quali la sonnolenza e l’intorpidimento alla mascella e alla bocca, ma ha cominciato a imparare il lavoro al telaio»[6] come la sua cara nonna.

Fonte: BBC News

Ridare dignità di esseri umani ai malati mentali: è questo l’obiettivo di Grégoire Ahongbonon. E questo lo si fa solo creando un ambiente sano e confortevole, curare i malati nel rispetto della loro persona, insegnare loro un mestiere ed essere reintegrati nella società. Battersi affinché anche i dimenticati dei dimenticati ottengano il diritto al riconoscimento, affinché le catene, quelle vere e del pensiero, si spezzino. «Perché finché vi sarà anche un solo uomo in catene, l’umanità tutta rimarrà incatenata. Quando vedo un uomo legato a un albero o in catene, io vedo me stesso e ognuno di noi»[7]. E così Grégoire Ahongbonon continua ancora oggi, in piena pandemia, a lavorare per salvare queste donne e questi uomini (e infatti nel dicembre 2020 vince il Dr Guislan Award), lasciando un grande insegnamento all’umanità intera.   

Fonti:

ADJOVI, Laeila, Ahngbonon: freeing people chained for being ill”, in BBC NEWS, 17.02.2016, web (https://www.bbc.com/news/magazine-35586177 consultato il 18 gennaio 2021)

MINISTRI DEGLI INFERMI RELIGIOSI CAMILLANI, “Grégoire Ahongbonon: quello che vivo è più forte di me”, in camillani.org, 5.02.2020, web (https://www.camilliani.org/gregoire-ahongbonon-quello-che-vivo-e-piu-forte-di-me/ consultato il 18 gennaio 2021)

PETRARCA, Valerio, I pazzi di Grégoire, 5ª ed.. Palermo, Selleril editore, 2008

THE NEW YORK TIMES, “The chains of Mental Illness in West Africa”, in YouTube, 12.10.2015 (https://www.youtube.com/watch?v=uKd9MxBzAUc&t=301s consultato il 18 gennaio 2021)

WORLD HEALTH ORGANIZATION, “Humble beginnings: Grégoire Ahongbonon and the St Camille Association”, in who.int, 2005, web (https://www.who.int/features/2005/mental_health/beginnings/en/ consultato il 18 gennaio 2021)


[1] PETRARCA, Valerio, I pazzi di Grégoire, Palermo, Sellerio editore, 2008, p. 146

[2] « But for me the most important thing is not necessarily healing every single person. It’s the dignity of each person. That’s our struggle», in THE NEW YORK TIMES, “The chains of Mental Illness in West Africa”, in YouTube, 12.10.2015 (https://www.youtube.com/watch?v=uKd9MxBzAUc&t=301s consultato il 18 gennaio 2021)

[3] MINISTRI DEGLI INFERMI RELIGIOSI CAMILLANI, “Grégoire Ahongbonon: quello che vivo è più forte di me”, in camillani.org, 5.02.2020, web (https://www.camilliani.org/gregoire-ahongbonon-quello-che-vivo-e-piu-forte-di-me/ consultato il 18 gennaio 2021)

[4] PETRARCA, Valerio, I pazzi di Grégoire, p. 147

[5] «There was a prayer centre here where there were more than 250 sick people. But today, there are no more sick people there, because when we started, the families saw the results, and they went unchained the sick people and brought them to us», in THE NEW YORK TIMES, “The chains of Mental Illness in West Africa”, in YouTube, 12.10.2015

[6] «[…] Judiakel now comes once a month as an out-patient to get his injection. He has been treated at Saint Camille for almost a year, and takes one pill every day to silence the voice in his head. He still struggles with some of the side-effect of his medication, which makes him sleepy and numb in the jaw and and mouth, but he has started training as a tailor», in ADJOVI, Laeila, Ahngbonon: freeing people chained for being ill”, in BBC NEWS, 17.02.2016, web (https://www.bbc.com/news/magazine-35586177 consultato il 18 gennaio 2021)

[7] «Because as long as there is one man in chains, it is the humanity that is chained. When I see a man tied to wood or in chains, I see my own image. And it’s the image of each and every one of us», in THE NEW YORK TIMES, “The chains of Mental Illness in West Africa”, in YouTube, 12.10.2015

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